Lettera di un docente precario

Leonardo Granatiero scrive all'"Unità": Gentilissima Direttrice, Le scrive un uomo di 34 anni, che tutti continuano a chiamare «ragazzo » solo per quel falso perbenismo, ovunque imperante, creato ad hoc pur di non svilire una gioventù mancata e ormai inutile. Sono un docente precario delle Superiori, che lavora con impegno, nonostante aspirasse ad altro, ad una carriera universitaria non tanto per motivi di lucro, ma semmai per cercare di capire cosa si cela dietro ogni altra cosa, un desiderio che ormai coltivo quasi in segreto, come fosse un peccato da nascondere, una perdita di tempo fine a se stessa, insomma, lettera morta. Ora sono qui, provocatoriamente, per chiedere risarcimento allo Stato. A quel paese che mi ha ingannato illudendomi che cultura e politica fossero valori fondamentali della democrazia, mentre ai diritti- doveri costituzionali si sono avvicendate le caotiche regole disciplinari ed indisciplinate della videocrazia. E ora cosa si deve fare con me e con i miei consimili? Un tempo saremmo passati alla storia o semplicemente sepolti in qualche dossier nascosto dalla polvere. Finiti in un campo di lavoro tedesco, siberiano o su qualche aereo della morte sudamericano. Ora, invece, basta strapparci la voce, farci scomparire dai teleschermi e dai quotidiani. Eccoci, a casa, come tante animulae vagulae blandulae. Lo specchio rimanda la nostra immagine, ma continua a non convincerci. Ed è qui che Kafka ci punta il dito contro: forse davvero non esistiamo. D’altronde come si può essere felici nel nostro stato? Solo tacendo, non vedendo, non sentendo e, soprattutto, non pensando? Così ci vogliono perché così deve essere il mondo del futuro. Anche se il futuro è già oggi ed è stato ben programmato da ieri, l'altro ieri e ieri l'altro ancora. L’egoismo porta ad aver paura per la propria sopravvivenza, ma, in maniera più estesa, si teme anche per chi ci è vicino; invece per i giovani si spera solo che li salvi la loro inconsapevolezza e che, da tronisti giulivi, non siano mai costretti ad alzarsi ed a sbarrare gli occhi su questo grande palcoscenico tragico che è il mondo.

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